La barca amazzonica. BRASILE

Villa Brasil, una composizione fotografica equilibrata. Fatta da un’albero, una barca e un bel riflesso

In Brasile, in piena Amazzonia, uno strano metodo di manutenzione di una barca di legno è stato il cardine per una composizione. E’ stato sufficiente aspettare che tutto, o quasi, fosse al posto giusto per creare una composizione fotografica equilibrata.

Ero su un reportage un po’ debole nei contenuti ma non lo sapevo ancora, poiché eravamo all’alba del secondo step, il secondo villaggio da visitare, lungo l’intricata rete di fiumi nella parte centrale dell’Amazzonia brasiliana; nello specifico il

Rio Tapajos e quel villaggio di caboclos di nuova formazione battezzato Villa Brasil. In quell’area di foreste e fiumi il miglior modo di muoversi è l’imbarcazione.

L’ONG per la quale stavo lavorando ne aveva a disposizione un paio. Una attrezzata per l’assistenza medica, che come altre faceva ambulatorio  nei villaggi, una di semplice trasporto di animatori/formatori, dove mi trovavo io.

Caratteristica della cooperazione allo sviluppo è quella di formare professionalità consone sia alla richiesta di chi cerca migliori opportunità sia alla necessità di un utente finale. 

Quella ONG italo/olandese gestiva un progetto di formazione di artigiani della fibra naturale. Attività tipica nei villaggi della foresta amazzonica. 

Invece di intrecciare solo per le esigenze domestiche, grazie al loro apporto, uomini e donne dei villaggi,

I cosiddetti “riberenhos”, producevano dalle borse etniche ai centrotavola in fibra per i loro concittadini di Sao Paulo, Rio etc..

Il mio compito era documentare l’attività, uno storytelling incentrato sul lavoro. Donne che tessono, mani che intrecciano, belle facce di “caboclos“, formatori che fanno lezione. Nel caldo pesantissimo di quella zona di Amazzonia, a portata di mano da Santarem

Dopo una notte di viaggio avevamo appena attraccato su una delle spiagge del Rio Tapajos. La gente di Villa Brazil compiva gesti quotidiani in quelle acque limpide che davano sollievo.

I villaggi sono spesso vicino a specchi d’acqua per ovvie ragioni. Anche le grandi città europee son nate tutte vicino all’acqua, che è vita. 

Nello specifico di abitati dove l’acqua corrente non è diffusa, al fiume ci si lava, si lavano i panni, si raccoglie l’acqua per cucinare e bere, coi rischi che purtroppo anche in quella zona si corrono.

Non ero ancora sceso dal battello, quella tipica imbarcazione fluviale amazzonica  alta sul pelo dell’acqua. Stavo osservando con le mie Nikon al collo, vidi che quel signore stava portando la sua barchetta abbastanza a largo.

Immerso in acqua la spingeva. La nuvolaglia scopriva e copriva il sole, il controluce non era fortissimo ma conferiva al tutto un’atmosfera magica

il sole dietro la nuvola lo vedevo, dalla mia posizione, esattamente sopra all’albero, quello si quasi in silhouette ma soprattutto con un bel riflesso sull’acqua.

Il personaggio con la barca mi stava praticamente “riempiendo” l’inquadratura. 

Mi è accaduto anche troppe volte, e lo dico spesso ai miei studenti nei corsi di fotografia che regolarmente tengo,  di trovarmici fronte ad un bel paesaggio, con una bella luce, ma c’è un elemento mancante. 

Una composizione fotografica che riesco ad organizzare dalla giusta angolazione però c’è troppo spazio vuoto. Non era quel caso grazie alla barca mossa a spinta, stava formandosi una composizione fotografica bilanciata bene.

La nuvolaglia era abbastanza scenografica, scopriva e copriva il sole. Già lo sapevo che mi avrebbe creato degli spazi bianchi, irrecuperabili con Photoshop. L’occasione era troppo ghiotta, il personaggio che spingeva a largo una barca vuota. Sembrava anche mesto, come se fosse il funerale del natante. Non lo pensai, non pensai nulla, solo aspettai che passasse dal punto giusto.

Non sto parlando di regola dei terzi, di sezione aurea o di altre cose accademiche. Parlo semplicemente dell’abitudine alla composizione fotografica equilibrata che mi fa cercare il punto dove ogni elemento è al suo posto. 

Solitamente scatto mentre osservo, specie se non riesco a capire quel che sta succedendo. Anche durante la classica sessione di street photography, illustrardo il viavai, non mi contento del primo scatto dove inquadro il primo passante. Proseguo finché quelli giusti passano nei punti giusti, talvolta lo faccio a raffica o comunque in forma continuata, scegliendo poi.

Qui non ci fu neanche bisogno della raffica. Aiutato dallo zoom seguii il percorso del barcaiolo che se non ricordo male si fermò all’incirca dietro l’albero.

Si, mi sarebbe piaciuta più densità di nubi di fronte al sole. La macchia bianca è rimasta, fortunatamente non si nota troppo. 

Tre immagini e la più giusta apre questo post poiché la trovo quasi perfetta.

La storia si conclude con una sorpresa, il soggetto affondò l’imbarcazione !!! Sceso dalla mia andai, fotocamere a tracolla ed acqua a mezza coscia, a chiedergli spiegazioni. Era una misura cautelare per il troppo caldo, il legno rischiava di schiantarsi, invece cosi inumidito si sarebbe gonfiato. Ogni giorno se ne impara almeno una. 

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