Salvador de Bahia anima africana del Brasile

Salvador de Bahia anima africana del Brasile

Il caldo tropicale avvolge perennemente la grande baia che  Amerigo Vespucci scoprì il giorno di Ognissanti del 1502. Tome de Sousa ci sbarcò nel 1549 e vi fondo’i la prima capitale del Brasile. Il mare calmo nasconde l’onda lunga atlantica, gioia dei ragazzini che sulle spiagge di Barra e di Ondina ci surfano sopra. Salvador de Bahia è l’ anima africana del Brasile. Infatti

Qui “davanti” c’è l’Africa

dice Reuben Bello Costa comandante  del Farol da Barra, uno dei simboli cittadini. Da bravo marinaio sa indicare la direzione e punta il braccio verso l’orizzonte : “in otto giorni navigando a  quindici nodi si arriva in  Angola” conclude.

Salvador de Bahia anima africana
Sulla spiaggia di Rio Vermelho accanto al Morro da Paciencia / © Federico Tovoli Photojournalist

Farol da Barra è uno dei punti più frequentati di Bahia, fra  l’immenso mare e la città moderna. Costruito su una delle fortezze più antiche  adesso è il centro della zona dello struscio. C’è vicino la spiaggia di Porto da Barra, secondo The Guardian fra le migliori del mondo. 

Al  “Farol” la gente passeggia, fa skate, jogging

…Poi  il rito del tramonto, seduti sul prato,  suonando o bevendo, assistendo a show dei buskers. Il gruppo Brahma Kumar qui pratica meditazione una volta al mese.

Salvador de Bahia anima africana del Brasile.Sono lontanissimi i tempi in cui il Portogallo possedeva Brasile e Angola e nel porto di Salvador sbarcavano in catene uomini dalla pelle scura. 

II Brasile era ricco: canna da zucchero, miniere, caffè e ovunque c’era bisogno di manodopera. Salvador de Bahia divenne un centro di smistamento schiavi

Lo schiavismo finì nel 1888, l’Africa è tutt’ora nel D.N.A cittadino.

L’ottanta per cento degli abitanti discende dagli schiavi, questo la rende “la città più africana fuori Africa”.

Salvador de Bahia anima africana
Braccialettino ricordo di Bahia, uno dei simboli cittadini / © Federico Tovoli Photojournalist

“Tutti abbiamo un po’ d’Africa nel sangue”, mi dice Geronimo prima di un suo concerto sulla “sua” scalinata nel Pelourinho. Bianco di origini olandesi e indigene, veste sul palco abiti del Candomblè, la religione africana evolutasi qui, ha la faccia dipinta come i pellirosse e suona una musica  samba fusa con ritmi afrobrasiliani e centroamericani, le due zone dove più furono importati schiavi. La scalinata è piena e la gente balla sulle sue canzoni fatte di Candomblé’, protesta, antirazzismo. C’è già tutta l’anima di Bahia in questo evento gratuito che si ripete ogni martedì.

La cultura afro di Salvador è riassumibile in Candomblé, musica e Capoeira. Salvador de Bahia è l’anima africana del Brasile

ed è fruibile ovunque in questa metropoli che è la quinta in grandezza  nel paese. Tutto è però più concentrato nel centro storico, il Pelourinho. Toponimo dal suono musicale ma  riferito ad una colonna dove venivano puniti gli schiavi. 

Era il quartiere residenziale dell’epoca coloniale: bei palazzi e belle chiese dai colori vivaci che adesso “fanno tanto Bahia”

Gli anni sessanta del novecento lo trasformarono, molte attività traslocarono, molta gente si spostò in zone più’ moderne, restarono solo i meno abbienti. Il Pelourinho divenne così un ricettacolo di prostituzione e delinquenza. Ovvero il classico posto pericoloso. 

Se i mondo è bello perché in continuo movimento, gli anni ottanta videro l’inserimento nel Patrimonio Unesco di tutta Salvador. Iniziò così un restyling a colpi di espropriazioni statali e il Pelourinho  divenne quello che è adesso, il polo culturale e turistico cittadino. 

Con  la gente che continua a viverci, non come in altri centri storici dove il mattone vale oro. Le famigliole passeggiano placidamente, la gente fa lunghe chiacchierate  sulla porta di casa  aspettando il fresco della sera.

Il Pelourinho  non ha perso il suo aspetto popolare e la pericolosità è quasi nulla.

Salvador de Bahia è il Pelourinho, col la piazza dove Sonia Braga-Dona Flor passeggiava coi due mariti. I centri culturali e le scuole  di Capoeira sono qui, le chiese più importantie le sedi delle drum bands. E tanti negozietti di cianfusaglie, quadretti esposti in ogni dove e ristoranti con chitarrista che suona samba. 

Se la samba è stata inventata a Bahia, la Capoeira è  africana e qui si è evoluta. 

Ne scopro due generi:  l’angolano e il regionale. 

Questo gioco-lotta-gara, sempre piacevole a vedersi lo scoprii per strada in Italia a inizi millennio. Pensavo di vederlo in strada anche qui. Dovunque ci sono riferimenti alla Capoeira ma l’unica “roda” H24 è quella del Terreiro de Jesus fatta da un gruppo disomogeneO. Si esibiscono a pochi metri da mendicanti ubriachi, tavoli all’aperto di un paio di caffè e bancarelle in cui le , le “bahiane”, vendono l’acarajé. 

Palesemente è  “per turisti”, fossero a Roma vestirebbero da  centurioni. 

Chiedendomi la ragione di questa assenza, rintraccio a fatica mestre Nenel. Ci incontriamo nella sua scuola nel “Pelò” in un seminterrato dietro un negozio di souvenir. Il suo defunto padre, Mestre Bimba è considerato l’inventore della Capoeira regional.

Salvador de Bahia anima africana
Al Pelourinho durante uno show mattutino del musicista di forrò Zelito Miranda, / © Federico Tovoli Photojournalist

Dopo il prologo di: capoeira filosofia di vita e fratellanza e ritmo nel sangue, afferma che la Capoeira non ha più bisogno della strada poiché nelle scuole si fa tutto. Di diversa opinione è Valmir, altro capoeirista storico che incontro nella sua scuola in  zona anonima. Incredibilmente aggiunge che  per una roda in pubblico va chiesto un permesso in Comune…

Entrambi appartengono a federazioni di capoeira mondiali. Valimir lo intoppo fra una tournée e l’altra. Anche per lui la Capoeira è filosofia di vita e arte marziale completa connessa all’ancestralità. La vede un mezzo per risvegliare l’io e questo ne spiega la diffusione mondiale. 

Sotto un grande affresco con gli Orixa, le divinità del Candomblè, inizia la lezione.

Della dozzina di studenti solo due sono brasiliani, il resto stranieri,  fino al Giappone. 

Ho la fortuna di vedere alcune rodas per strada per il compleanno della città. In una parade immensa in Praça Castro Alves quattrocento “bahianas” di ogni età aspettano quattrocento percussionisti. Nel mezzo ci sono quattrocento capoeiristi. E’ un gioioso frastuono di birimbao, grandi tamburi, canti… e decine di rodas. Festa, fratellanza, Africa…

L’anima nera del Brasile qui a Bahia è  anche nelle drum band che la sera si esibiscono per le strade del Pelourinho. Olodun, che vanta collaborazioni con Paul Simon e Michael Jackson, è nato qui, come Didà, banda femminile. Entrambi i gruppi gestiscono progetti sociali di educazione musicale. 

C’è poi una serata speciale in cui tutto si anima già dall’imbrunire, la terça de Pelourinho. 

E’ bello visitare dimore e chiese storiche, come  quella di  Sao Francisco nel Terreiro de Jesus, sembra di vederceli i ricchi bahianos del seicento a messa fra quegli altari dorati, stucchi e statue lignee. Adesso invece c’è  gente comune, molta afrodiscendente.  A metà del Largo do Pelourinho, la chiesa NS di Rosario do Pretos  fa parte del “sightseeing” . Ha la cancellata ricoperta da quei braccialettini colorati “ricordo de Salvador de Bahia” divenuti  simbolo cittadino. La “prassi” vuole che legandoseli vadano pensati tre desideri, che si debba aspettare la naturale rottura per poi legarli al questa cancellata  o a quella del Santuario di Bonfim. 

Salvador de Bahia anima africana
Punto centrale della terça do Pelo’ è il rito del pane alla fine della messa nella chiesa di Nossa Senhora do Rosario dos Pretos, in Largo Pelourinho / © Federico Tovoli Photojournalist

La  Messa “africana” delle diciotto e trenta di terça è affollatissima,

sembra standard tranne la band elettrica di afrodiscendenti  che segue la liturgia. Sul finire, c’è un crescendo musicale e corale, come da tradizione afro ballando entrano in fila signore  di con grandi cesti di pane per lasciarli sotto l’altare. Tutti cantano e battono le mani e ritmicamente. Data la quantità di “coloured” presenti potrebbe essere Luanda come Harlem, è Bahia e a fine messa la gente sciama lungo il Pelourinho. Poco distante Geronimo si prepara per il suo concerto settimanale. Salvador de Bahia è l’anima africana del Brasile

Dal Pelourinho mi sposta usando l’Elevador Lacerda, ascensore pubblico art decò in Praça da Se, quella della Croce Caduta e dei panorami sulla baia coi cargo alla fonda. Poco distante il Mercado Modelo ex centro di smistamento schiavi che adesso vende l’artigianato tipico …

La città bassa è anonima tranne il santuario di Bonfim, che in tutte le cartoline svetta da un muro di braccialettini “lembrança”. Le prime messe del mattino hanno richiami di africanità : la gente assiste vestendo di bianco, colore del Candomblé, 

Gente “del Candomblè” staziona nella piazza con rami freschi in mano, sembrano attendere i clienti per una purificazione, è palese  che sia per soldi. Non vedo nessuno che si sottoponga a tal rituale. Mi si dice poi che la gente del Candomblé non chiedono soldi…

Il Candomblé è ovunque a Salvador

dalle statue di Jemanjà, Orixa del mare fino agli spicchi d’aglio conficcati nel sale grosso anti energia negativa per le case private.

Visito un Terreiro de Candomblé.

Il Terreiro Ileossumare è un luogo di candore in un quartiere popolare disordinato. Bianchi i muri, bianchi i vestiti degli adepti, sgargianti alle pareti i quadri degli Orixa.

Sandra, afrodiscendente, mi accoglie nella sala mensa, davanti al “café d’amanha”. Racconta che fra adepti la convivialità porta a discussioni profonde ,come l’uguaglianza di genere e la parità in famiglia, argomento appena terminato. 

Il Terreiro ha oltre un secolo ed è circondato da un bosco dove noto  alberi coi fusti avvolti da tessuti multicolore. Sono quelli in cui  si è incarnato l’Orixa.

Divenire “flho o filha de santo” ossia  membro attivo del Candomblé , prosegue Sandra, implica un processo meditativo di tre settimane prima dell’iniziazione. Il terreiro ha spazi appositi ma non è un luogo di clausura, ha un settore dedicato ai progetti sociali. Loro hanno una scuola di cucito e bordato. 

Silvanilton, Il Pai de Santo del Terreiro è “figlio d’arte”, la nonna è ritratta in una foto in cui serve al tavolo il presidente Getulio Vargas. Lo prese per la gola per “sdoganare” il Candolmblè, osteggiato ancor oggi dalle chiese protestanti. 

Mi parla di legami con la Nigeria, antico territorio di caccia allo schiavo e dove c’è un culto molto simile. Racconta dell’arrivo degli schiavi a Bahia, di come venissero raggruppati per diversità linguistica  poiché non capendosi non si sarebbero coalizzati. 

Il simpatico signore passa a narrare  la sua giornata. Il Terreiro  accoglie chiunque ed egli è un dispensatore di consigli di ogni tipo. 

Sembrerebbe l’invito esteso anche al giorno dopo, ma non permettendo  foto dell’evento previsto chiudo il capitolo e passo al terzo cardine, la musica.

E’ dovunque e ad alto volume e solo brasiliana

“Qui son tutti artisti e musicisti”, dicono autoironicamente gli addetti ai lavori. In due settimane ho assistito a sette “live”, ma i media locali ne pubblicizzano a decine. 

Big bahiani come.Geronimo e Margareth Menezes hanno una lunghissima carriera, se il primo è un guerriero, la bella Margareth si sente positiva e canta, loro hanno una notorietà nazionale, invece

Caetano Veloso e Gilberto Gil hanno diffuso la musica bahiana nel mondo.

La  sorella  di Caetano. Maria Bethania, suona al Farol da Barra. Autentico bagno di folla e nella calda sera, tutti cantano le sue canzoni a volte struggenti e a volte allegre, mentre le onde continuano ad infrangersi sulla spiaggia a pochi metri dal palco. 

E’ nell’anima brasiliana l’allegria della festa, dopo due ore di concerto, arrivano le “guests”, Margareth Menezes e  Mariene de Castro, chiudono lo show alcune bellissime percussioniste Didà, che in lingua uruba significa potere della creazione, un boato di applausi. 

Può esserci qualcosa in più? Mi chiedo. Ci sarà  cultura off ?

La trovo con   un’altro componente della famiglia Veloso, Jota, che gestisce l’Aboca nel quartiere Santo Antonio. Ogni giovedì c’è l’happening, chi vuole esibirsi lo fa in un palchetto minuscolo fisicamente invaso dagli avventori. Si alternano, poeti, cantori, gruppi di improvvisazione teatrale, una serata emozionante che una volta  si diceva  “underground”. 

Sono di nuovo a Pelourinho e la mia ricerca  mi porta verso Afro Jhow e sua madre Negra Joe, lui suona “afrobeat”, con influenze Candomblé, ha messo Bahia in un genere non autoctono. 

Tutti i musicisti che ho conosciuto hanno detto che il vivere a Bahia è stato fondamentale

..per le sinergie. Anche lui annovera tournèes europee che vivendo altrove avrebbe avuto più difficoltà a fare. 

Negra Joe è l’inventrice dei turbanti afro

..ne spoetizza l’origine, si è semplicemente ispirata ai film di Tarzan che vedeva da ragazzina. Si definisce artista del capello e dal suo negozio escono le migliori capigliature afro di Bahia, grandi fantasie di trecce. 

Ancora una volta l’Africa, la treccia segno di gerarchia, ai tempi degli schiavi erano addirittura  espediente igienico.

Dalla poliedrica bottega di Negra Joe (con angolo spirituale con santi cattolici ed Orixas,) esce di tutto, da una linea di tessuti con marchio proprio a quel tanto amore, come dice lei, che genera musica, danza, arte culinaria. Una bottega piccola come un alberello ma che da tanti frutti da riempirne una cesta. Un po’ l’essenza di questa città speciale che Salvador de Bahia, anima africana del Brasile

Link utili

http://www.bahiatursa.ba.gov.br

https://www.lonelyplanet.com/brazil/the-northeast/salvador

https://vitaminaproject.com/cultura-brasiliana-candomble-sincretismo-bahiano/

https://it.wikipedia.org/wiki/Samba

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Che nostalgia!!!!
uno dei tanti luoghi ove vorrei tornare!!

Sei il numero 1,le tue foto e i tuoi servizi,sono unici,troppo belli!
Bravo davvero!

Uno spaccato contemporaneo di un mondo così affascinante eppure evoluto dal dolore di popolazioni strappate alle loro origini.. che in qualche modo hanno saputo mischiarsi in una eterogeneità nobile e dalla forte umanità .. bellezza e tradizioni impregnano questi scatti e il tuo racconto. Davvero emozionante e istruttivo! ?

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