"Nessuno nasce IMPARATO
anzi...
TUTTI STIAMO IMPARANDO"
"Nessuno nasce IMPARATO
anzi...
TUTTI STIAMO IMPARANDO"
Un fotografo giramondo residente in Toscana
Un fotografo giramondo residente in Toscana
Di Palermo ho due fugaci ricordi. Aprile 1982: un gran caos urbano. Io di passaggio ai tempi dell’autostop e sacco a pelo, ultimo anno delle superiori.
Anno 2009, in transito fra Sicilia e Calabria durante il mio reportage sul volontariato antimafia. Trovai la città una Napoli in piccolo ma con l’aplomb.
Capii forse da li che c’era qualcosa in più, molto in più in quella città che nel 2018 è stata Capitale Italiana della Cultura; status che non si ottiene per caso.
Via Vittorio Emanuele da Porta Felice, sul mare a La Cala, attraversa la città fino a Porta Nuova a sud ovest, incrocia ai Quattro Canti la via Maqueda, strada in parte pedonale che dalla zona stazione a est va verso nord ovest oltrepassando il Teatro Massimo. Il Teatro Politeama chiude il centro storico ad ovest , verso Monte Pellegrino e le spiagge di Mondello. C’è in mezzo l’enorme colata di cemento trasformata in condomini detta il “sacco di Palermo“.
Palermo e la cultura si ferma al Politeama. Le uniche due ragioni per andare più in là, eccetto il bel mare di Mondello, si chiamano Albero di Falcone e via d’Amelio. Il primo sta di fronte alla casa dove viveva il giudice , gli “strange fruit” che penzolano sono biglietti e oggetti ricordo di persone giunte qui in pellegrinaggio. Via D’Amelio è tristemente nota per la strage che tolse la vita all’altro giudice, Paolo Borsellino e ai cinque della sua scorta. Anche qui un’albero, ricordi, pellegrinaggi…per non dimenticare i martiri della legalità.
C’è molto altro però. Una storia di secoli ha generato l’odierno spirito della città.
Lo scenario potrebbe esser racchiuso fra le due porte, i Quattro Canti e il teatro Massimo, ma solo idealmente.
Trovo il centro storico molto facile da percorrere. Un po’ come a Pisa, vige la logica del “fai prima a piedi”. Grande vantaggio per lo stato mentale e l’inquinamento del pianeta.
Via Maqueda, con i miei trascorsi latinoamericani non riesco a pronunciarla come fanno tutti qui, come si scrive; è dedicata a Bernardino de Cardenas y Portugal duca di Maqueda e viceré di Sicilia dal 1598 al 1601. Memorie del grande impero su cui non tramontava mai il sole.
La strada incrocia la via dedicata al primo re d’Italia, divenuto tale undici mesi dopo che Garibaldi sbarcò a Marsala. Due pezzi di storia italiana che si incontrano ai Quattro Canti: apparati decorativi seicenteschi, con simbologia multipla delimitanti quattro quartieri del centro storico. Architettura del vicereame abbellita da lampioni in liberty, l’eleganza della grande città nei secoli.
Cammino verso Palazzo Reale, noto come Palazzo dei Normanni, la residenza reale più antica d’Europa, sede del regno di Sicilia, dei normanni che avevano scacciato gli Arabi. C’era la corte di Federico Secondo, l’illuminato imperatore svevo, nato nelle Marche, morto in Puglia, sepolto li vicino lungo via Vittorio Emanuele, nella Cattedrale cittadina.
Molti popoli son passati di qui, i primi a lasciare tracce architettoniche evidenti sono stati gli arabi e i normanni.
Quella Cattedrale, fu luogo di culto cristiano sul quale fu costruita una moschea che tornò chiesa grazie ai normanni. Il Palazzo reale ha una storia simile che dall’esterno non si vede. La Cappella Palatina al suo interno è l’impronta normanna. L’evidenza araba è più marcata invece nella prospiciente chiesa di san Cataldo che ha cupole come una moschea e campanile normanno. Nei pressi c’è la fontana Pretoria simbolo cittadino , rinascimentale.
Ogni epoca ha lasciato traccia, fintanto l’antico Ponte dell’Ammiraglio che i Mille attraversarono per penetrare in città. Reca ancora i segni dei proiettili.
Anche la toponomastica aiuta. La Kalsa, europeizzata come “Mandamento i tribunali”, deriva dall’arabo Khalisa, l’eletta. Da qualche parte a Palermo qualcosa si chiama Ballarò. E’ stato il nome di un talk show della tele nazionale, uno degli autori era palermitano.
Altro mercato storico, la Vucciria si chiama così da “boucherie”, macelleria in francese, (come la Boqueria di Barcellona), traccia angioina, evidente anche nel quadro di Guttuso…
Addentrandosi alla Kalsa, alla Vucciria o dintorno a Ballarò noto qualcosa di strano. Tutto sembra un po’ abbandonato, troppe saracinesche chiuse, spesso in forgia antica, arrugginite. Palazzi crollati con macerie e cespugli.
Come in molte altre città del meridione d’Italia, comunque, il centro storico palermitano continua ad essere abitato. Non sta accadendo, mi si dice, come a Lisbona dove è tutto diventato AirbNb o come in tanti borghi minori qui in Toscana, dove non c’è più nessuno perché non c’è più nulla, o c’è stata quella gentrificazione che li ha resi la zona high-class.
Qui Il centro continua ad esser popolato da una umanità autoctona che vive un po’ ammassata. Malgrado i palazzi bombardati dell’ultima guerra e le strade commerciali siano un’unica saracinesca abbassata a causa del mondo che cambia.
Altra caratteristica impattante è la quantità di persone di altre etnie in tutta l’area. Balcanici e russofoni non li si distingue più, ma africani in genere e indiani sono inconfondibili.
Se la storia serve per capire il presente è sufficiente rileggersela. “Santa Wikipedia” riporta che il periodo normanno fu il più “democratico “, proseguendo la convivenza fra religioni ed etnie iniziata dagli arabi. Era “una specie di stato federale con un primo parlamento, creato nel 1129” (cit. Wikipedia) dove l’arabo restò lingua ufficiale almeno per un secolo dal passaggio di consegne.
Testimonianza di questa secolare multietnicità è la pietra della Ziza una locale stele di Rosetta scolpita in era normanna e conservata al museo del Palazzo della Zisa, che in arabo vuol dire la splendida…anche se oggigiorno è addossata alle costruzioni del sacco.
In altro evento conosco Miriam, ventiquattro anni, altrove non mi ci sarei rivolto in italiano dato che è inconfondibilmente africana. Attivista di un’associazione legata all’ARCI mi si presenta con un “io sono palermitana” in perfetto italiano con accento siculo. E’ nata qui da padre tunisino e madre delle Mauritius che qui si sono conosciuti. E ‘ la realtà italiana dell’ultimo quarto di secolo, malgrado in troppi fingano che non esista. Qui a Palermo ancora più forte, per la continuità secolare nella multietnicità, che adesso si chiama cultura dell’accoglienza.
L’atto pratico di questo documento è visibile in giro per il centro, ma ancor di più incontrando Claudio Restivo alla sede di Moltivolti, in piena Ballarò. “Qui si da uno spazio dignitoso ad associazioni, ong, gruppi informali con progetti sociali.” Mi dice. “Motore economico è il ristorante e bar : se bevi una birra la sera finanzi un progetto sociale”. Tre africani lavorano in cucina, diretti da un cuoco afgano che era un’ufficiale dell’Alleanza del nord.
La sera al tavoli e nelle strade fuori c’è una bella atmosfera Meltin Pot.
Le associazioni stanno facendo molto per far uscire il mercato di Ballarò dalla contraddizione burocratica in cui si trova. Indubbiamente è affascinante, fra edifici secolari e grida dei venditori. E’ quell’atmosfera “souk”, cultura locale, DNA cittadino. I negozianti si sono abituati ai turisti. Hanno addirittura confezioni di frutta secca e spezie in sottovuoto per il trasporto aereo. Un’associazione sita a Moltivolti si occupa del tour fra le bancarelle. ” Le istituzioni” prosegue Claudio : ” sono presenti, le personalità visitano il mercato un giorno e magari due giorni dopo arrivano gli ispettori e chiudono tre attività per problemi di agibilità.” Quel che stanno facendo ” quelli di Moltivolti” è cercare di superare anche il concetto di legalità andando verso la normalità.