Operaciòn Milagro BOLIVIA

Operacion Milagro. La foto che parla da sola

Una serie di piccoli dettagli e di richiami simbolici per raccontare in una foto un progetto di assistenza sanitaria. La foto che parla da sola

Quando arrivai in Bolivia nel viaggio del 2006, per un fotoreportage sui cocaleros e lo storytelling sulla zona del Che Guevara. Trovai un paese in fase di grandi cambiamenti.

Era la mia seconda volta in Sudamerica. L’anno prima era stato il Peru e mi ero reso conto che oltre produrre a prezzi contenutissimi, il rapporto con le persone era moto meno complicato che in Italia.

Le storie da narrare erano narrabili. Non come mi è capitato talvolta nel Bel Paese che una parte della storia c’è e l’altra è in costruzione. Quindi un lavoro di cinque giorni ti dura sei mesi. Poiché si son scordati di dirti che quel laboratorio va in ristrutturazione a breve. Che il latte d’asina per essere munto ha bisogno di un impianto in ultimazione a 800 km di distanza. Il primo del paese .

C’era inoltre un atteggiamento verso la comunicazione per mail che in Italia era penoso e in Sudamerica era formidabile. Su dieci emails inviate in italia all’epoca, dopo due settimane arrivavano tre risposte. Le con scuse erano :”l’addetto in ferie”, ” problemi col computer “etc. Dal Sudamerica su dieci emails inviate in 24 ore c’erano sette risposte positive !!!

Mi sentivo insomma più a mio agio dall’altra parte dell’Atlantico. 

Quel secondo viaggio fu la mia prima volta in Bolivia.

Il paese si stava allineando al socialismo del ventunesimo secolo. Paesi dalla conquiste già conclamate, quali Cuba e Venezuela, stavano collaborando. Fornivano una professionalità assente in Bolivia, per la lotta all’analfabetismo e l’assistenza medica. 

In quest’ultimo settore i medici cubani si erano resi conto che molte persone del luogo soffrivano di cateratta e di retinite pigmentosa.

C’era in atto una campagna di alfabetizzazione e molte persone non riuscivano a leggere poiché non vedevano bene. 

Nacque così la Operacion Milagro. Una vasta campagna di esami della vista per individuare i soggetti affetti dalle patologie di cui sopra. Non potevo escluderla dal mio reportage sulla Bolivia che m’ero deciso a realizzare.

Fu il mio primo incontro coi cubani non fuoriusciti per ragioni personali e/o politiche. Furono i primi che incontrai che non fossero “in delegazione” per il Partito. 

Quel giorno all’Ospedale di Santa Cruz de la Sierra mi resi conto dello spagnolo cubano/caribeño cosi diverso da quello andino. Mi accorsi del un modo allegro e dolce di stare al mondo. Molto diverso sia dal nostro della vecchia Europa che da quello un po’ remissivo degli andini. 

Medici e infermieri in pausa ciarlavano, ridevano, fra uomini e donne stavano abbracciati o comunque intimi. Il loro slang era musica…che non mancava dai devices dell’epoca. 

“Todo muy lindo pero te necesita una autorizaciòn”. Mi disse il capo missione di Santa Cruz quando mi presentai e presentai il progetto, a parole.

Ero di nuovo davanti alla burocrazia di partito vecchio stile, il dottore capo non poteva autorizzare lo shooting  senza l’intervento di un funzionario dell’Ambasciata. I cubani che sembravano così friendly ( e lo erano ) avevano l’organizzazione da partito-stato come ai tempi della cortina di ferro .

Ma Cuba è Cuba. Mi bastò spiegarmi con una persona più in alto in carica per avere il mio permesso. 

Fu un’intera mattinata fra vecchi boliviani nelle sale d’attesa con una benda sull’occhio e la bandiera di Cuba alla parete. Seguii visite varie, cercando come sempre la foto che parlasse. 

Ho già ribadito il concetto del rendere spettacolare il banale. Quando si tratta di ospedali, laboratori etc le difficoltà si moltiplicano. Spesso, specie in Sudamerica gli strumenti di laboratorio sono in stanze spoglie illuminate da luce al neon, l’azione magari si svolge in un’area minuscola, le persone coinvolte non sono cosi caratteristiche.

Non c’è che da scattare, a ragion veduta ma scattare 

Inoltre non c’è tutto il tempo che ci vorrebbe e neanche la possibilità di intervenire modificando, cosa che cerco di fare il meno possibile.

La foto in questione è quella simbolica della Operacion Milagro.A livello di tecnica fotografica c’è il diaframma giusto per non sfocare. La zoomata perché ci siano tutti gli elementi ed un colpo di flash a bounce per avere una luce uniforme e bianca. 

A livello di composizione.

Guanti e macchinario mi suggeriscono una tecnologia avanzata ed una cura dell’igiene adeguata. Il giovane dottore afro e sorridente fa molto Cuba. Sorride come sempre fanno i cubani e rassicura l’anziana boliviana, pettinata con le trecce come tutte le vecchie andine.

Sembra appoggiarsi con incertezza e timore all’apparecchio, una mano la conforta da dietro. Era una parente se non ricordo male e traduceva dall’Aymara allo spagnolo poiché, come tante donne anziane di quell’area di mondo, parlano solo la lingua nativa. 

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