Kausachun Qosqo !!!

 

A Cuzco, Perù, nel mese di Giugno, quando la città celebra se stessa e l’ identità culturale andina attraverso sfilate e rappresentazioni grandiose

identità culturale andina
La vergine di Almudena durante le celebrazioni del Corpus Christi, come altre è una scultura in legno fatta secoli addietro da un artigiano locale/ @ Federico Tovoli Photojournalist

Cuzco è la città coloniale più bella del Sudamerica. Un ben conservato centro storico esteso e cosparso di chiese, storicamente importante poiché capitale dell’impero Inca. Adesso  uno dei luoghi più visitati data la vicinanza con Macchu Picchu. Per le sue strade si continua a percepire una forte identità culturale andina.

Ovviamente è patrimonio Unesco

Cuzco ha turisti tutto l’anno, il turismo è la percentuale più alta nel p.i.l regionale. Potrebbe esser paragonata a Venezia. La differenza sta nell’identità culturale. A Cuzco è presente una forte identita culturale andina, a   Venezia l’identità s’è persa nel fiume della globalizzazione. 

Al grido: “Kausachun Qosqo !!!”,viva Cusco, la città in Giugno  celebra se stessa, e l’identità culturale andina.

Spuntati quasi dal nulla gli Inca crearono un impero esteso su tutto il nord ovest del continente, era una società avanzata:  l’efficiente sistema stradale (Qapac-ñan) che la univa,  la canalizzazione delle acque, i famosi muri di pietra  tutt’ora fondamenta del centro storico cusqueño.

identità culturale andina
L’intera società civile cuqueña partecipa alle processioni del Corpus Domini, come questi giovani professionisti di un’impresa locale. Vestono abiti moderni, forse l’uniforme dell’impresa, ma hanno aggiunto il tocco dell’identità culturale andina, la sciarpa dai colori e dal tessuto locale. / @ Federico Tovoli Photojournalist
Veneravano il  Dio sole (Inti) , la madre terra  (Pachamama) da cui nasce la “mama coca”, fonte d’energia. 

Poi arrivarono gli spagnoli, più perfidi e tecnologicamente avanzati nonché indebitati con le banche inglesi. Videro nell’oro Inca una manna dal cielo. Se ne appropriarono sopraffacendo gli Inca,

imposero il loro Dio come unico e giusto. 

La corona spagnola dominò per duecentosettantasette anni lasciando  traccia indelebile. Molti andini sono nostalgici dell’epoca Inca, ma inidetro non si torna. Nel ventunesimo secolo l’identità culturale andina  è composta da una ancestrale radice autoctona con innestato un ramo europeo. 

Il Quechua è una lingua viva, spesso quella madre nei villaggi,

i rituali precolombiani sono ancora praticati e attraggono turisti piu o meno mistici, lo sciamano continua ad essere il tramite verso l’immateriale….. Tutti però sono cattolici, la religione dei colonizzatori. 

Un sincretismo  che si riflette anche nelle manifestazioni pubbliche, come le feste di giugno che cominciano col Corpus Domini.

Il centro di Cuzco è costellato di chiese coloniali, erano l’affermazione di potere.

Sul Qoricancha, il più importante tempio Inca, c’è quella enorme dei Domenicani, la chiesa di Roma sovrastava il potere pagano… sulle sue basi visibili.Quasi una metafora architettonica dell’odierna identità andina. 

Ogni chiesa è dedicata a un santo, raffigurato con  statua lignea, ognuna ha la sua confraternita incaricata dei cerimoniali.

In occasione del Corpus Domini si portano i santi in Cattedrale, nella  Plaza Mayor. 

Gia dall’antivigilia le piazze limitrofe alla “Mayor ” sono occupate di stand gastronomici. Il piatto della festa è il chiriuchu, : diverse carni fredde su cui domina il “cuy“. Il pubblico è per due terzi  locale e per l’altro internazionale. Se ne dedurrebbe indice di festa popolare, noni evento “acchiappaturisti”. 

Si odono le fanfare, arrivano da ogni chiesa le processioni, la città di Cuzco la vigilia del Corpus Domini ne ha sedici convergenti. 

La processione andina non è mai triste o sobria. La banda suona motivi allegri, dagli huaynos ai temi internazionali e gli orchestrali vestono uniformi vivaci, da festa danzante. Alcuni membri delle confraternite portano a spalla il pesante santo mentre altri ci ballano davanti. Alcune confraternite si presentano con ponchos e chullos tradizionali invece altre  addirittura sfilano in giacca e cravatta. 

Le statue si fermano ai bordi della piazza San Francisco, in pompa magna entreranno nella Mayor. seguiti dal frastuono della banda che si mescola a quello delle altre creando un sound andino “free” che si spande per la città. 

Davanti e dietro al santo il corteo diventa variopinto. Ci sono i Qapaq qolla, i  Majenos, i Qoyacha ed altre figure andine tradizionali. E’ l’allegria della festa, il  brio alla sfilata, 

Ogni santo fa almeno un giro completo della piazza, i figuranti  danzano, duellano, fanno giochi di frusta.

Poi, portato a spalla con votivo sacrificio, il santo sale con grande sforzo le scale del sagrato. Fra due ali di folla si avvia alla porta principale. 
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Festa del Corpus Domini. San Geronimopoco prima di entrare in cattedrale./ @ Federico Tovoli Photojournalist
In chiesa entrerà lui solo coi portantini. Leggenda vuole che chiusi in cattedrale, San Michele, San Sebastian e gli altri si trasformino in persone vere…..

In carne ed ossa oppure in legno e vernice i santi in chiesa hanno dormito poche ore. La mattina dopo son già tutti sul sagrato, esposti con nel mezzo un baldacchino  d’argento massiccio.

La processione ufficiale, aperta dall’ara che racchiude il Corpus Domini, il corteo di preti  biancovestiti che la precede , la pesante aspersione d’incenso, le confraternite femminili col velo bianco in testa. L’affermazione del “potere temporale” della Chiesa sul territorio. 

Ieri  “i pagani” hanno fatto la chiassosa festa, oggi comandano loro, i “conquistadores”, guardiani spirituali. 

Altri due giorni saranno dedicati al Corpus Domini, con la cattedrale, (normalmente  blindata alle visite individuali), aperta al pubblico. Tutti ad ammirare i santi, “stranamente”  in legno. Ogni confraternita,  si ricaricherà  il suo e ricomincerà col giro della piazza.

Qualche santo è stato vestito con abiti locali come per ribadire l’identità culturale andina. I santi di tutti in definitiva, perché dopo quattrocentosettantasei anni il mix è indissolubile. 

Il giorno successivo ogni santo tornerà alla propria parrocchia, nuovamente  sedici cortei ma stavolta divergenti. Un giorno interno fra balli tradizionali, soste dentro e fuori varie chiese, minestre consumate in piedi, ingorghi di cortei, huaynos etc…

La Plaza Mayor di Cuzco in Giugno è occupata ogni giorno da eventi
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Feast del Corpus Domini. La processione ha anche toni allegri e canzonatori, tipico della festa andina / @ Federico Tovoli Photojournalist.

Nei giorni successivi al Corpus Domini le strade adiacenti  sono piene di gente in costumi tradizionali. E’ la società civile che nella sua totalità sfilerà sul tema all’identità culturale andina. Scuole, università, corporazioni. Ogni istituzione ha il suo corpo di ballo, ha investito sui costumi, ha studiato una danza tradizionale regionale. 

Non c’è solo la piazza. In una elementare, solo per gli alunni, si celebra il festival del “chullo. Tutti porteranno per l’intera giornata il tipico copricapo confezionato nei vari stili regionali. In un’altra scuola arrivano i personaggi incaici a far visita In una materna c’è la gastronomia andina. 

Con lo scorrere dei giorni, mentre la fontana centrale di Plaza Mayor, sulla  quale nel 2012 s’è reinstallato l’Inca Manco Qapaq, viene rivestita con una murata incaica posticcia, le notti di piazza si riempiono di musica  e c’è anche una serata light and sound. 

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Feasta del Corpus Domini. Studentessa universitaria aspettando di ballare in Plaza de Armas finisce di sistemarsi il costume tradizionale della zona di Paucartambo. /@ Federico Tovoli Photojournalist
Tutti aspettano l’Inti Raymi, la festa del sole, celebrazione massima dell’identità culturale andina.

Una fonte autorevole sostiene che Natale e San Giovanni siano antichissime feste del sole su cui la religione Cristiana si sia innestata. Infatti hanno date vicine ai solstizi. 

L’Inti Raymi è la festa  più importante del giugno cusqueño, quella che di fatto lo conclude.

E’ l’unica, inoltre, ad avere un biglietto d’ingresso.

Lo scenario è  cambiato, spariti  costumi  e danze popolari, il salto è di cinquecento anni indietro, quando l’impero era Inca. 

La festa fu proibita dai conquistadores, rimase sepolta fra le cronache antiche finché alcuni intellettuali cusqueñi, appartenenti al movimento indigenista la riscoprirono.  Il primo Inti Raymi moderno è del 1944. 

Oggi  fra comparse, attori e  tecnici è uno show che mobilita 600 persone.

Uno spettacolo grandioso che si sviluppa su tre scenari cardine del Qosqo antico, Il Qoricancha, la Plaza Mayor e il Sachsahuaman.

Iniziano a diffondersi nell’aria suoni di tamburo e di flauti, arrivano correndo ancelle e soldati. Guerrieri e damigelle si dispongono in file incrociate sul grande prato del Qoricancha, occupano gli spalti dell’antico tempio creando una scenografia accattivante.

Fra incensi e suoni di puputi appare l’Inca Pachacutec con regina e dignitari. 
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Inti Raymi. Terzo atto. Sito archeologico di Sachsayhuaman. L’attore Nivardo Carrillo, da molti anni “El Inca”, figura centrale dell’Inti Raymi

Tutto lo spettacolo è in Quechua, un libretto traduce che l’Inca parla all’Inti, chiamandolo padre nostro, poi si rivolge al popolo invitandolo a seguirlo  nel proseguimento celebrativo  nell’area che si chiamava Haukaypata e da cui partivano i Suyos, l’attuale Plaza Mayor. E’ dai Suyos che sono arrivati in visita i vari dignitari e responsabili politici ognuno col suo esercito e il suo seguito. 

La piazza ospita sul palco d’onore autorità e vip, il sindaco e assessori stanno ad altezza strada, tutti in “poncho d’onore”. 

Arrivano di nuovo le comparse, suonando e correndo, il tamburo è martellante, si crea un’altra coreografia che riempie la piazza. 

L’inca è in piedi su una portantina trasportata da venti soldati, sale poi sul monumento dedicato a Manco Qapaq e  comincia una gran conversazione coi dignitari dei Suyos. Segue la lettura delle foglie di coca per conoscere l’umore degli dei, infine a voce tuonante si rivolge agli Apu. Chiama a raccolta le montagne circostanti, chiede loro di accettare l’offerta perché attraverso le foglie di coca rivelino l’ attuale umore del Dio Sole. Prima che la cerimonia centrale al Sachsahuaman abbia inizio. 

Il momento più importante e simbolico nell’ambito dell’identità culturale andina è l’offerta che l’Inca fa al sindaco, lo chiama a se, gli dona un khipu.

“tu che guidi oggi la mia città, hai davanti a te il figlio del sole e padre di tutto questo popolo, ricevi questa eredità culturale dove sono contenuti i tre poteri che danno vita alla nostra gente : amore, saggezza e lavoro.

Sii  la luce che illumina il tuo buon governo e il destino della nostra razza”.  Imperioso conclude: “Non dimenticare le mie parole”. 

Tutti si avviano verso le alture del Sachsayhuaman. 

Decisamente l’inti Raymi è  uno spettacolo all’altezza del Nabucco di Verdi, vien da chiedersi se sia mai stato esportato. Mai  perché sono fondamentali i luoghi reali dove si svolge.

 Altra domanda che sorge spontanea è quanto lo spettacolo  sia fedele all’antica realtà. 

Il professor Jaime Araujo Chacon, studioso di cultura Inca, oltre a recitare nello spettacolo ne è co-sceneggiatore. 

“Si tratta di una pièce teatrale” dice: “La fedeltà con l’originale è relativa, il copione  è cambiato negli anni. Se nei primi tempi c’era più spiritualità andina, adesso è un po’ modellato per lo spettatore globale. 

Sembra una riunione di eserciti ma  era un incontro per esaminare i prodotti dei Suyos. Mancano bambini e  anziani. Gli anziani nel mondo inca erano importanti poiché consiglieri dei potenti” conclude. 

Sulla grande spianata del Sachsayhuaman, sito di importanza militare e  religiosa, mentre il Dio Sole sta abbassandosi sull’orizzonte e il sempiterno cielo blu dell’inverno andino fa da contrasto con la calda luce sulle mura antiche e sui costumi degli attori, alcune comparse riproducono scene di vita quotidiana. 

I cortei arrivano nuovamente in gran  pompa preceduti da fumogeni colorati, versione moderna degli incensi cerimoniali . L’Inca riceve i rappresentanti dei Suyos, insieme inscenano il sacrificio di  un lama le cui interiora risultate integre sono di buon auspicio per la prosperità dell’impero. Un fuoco sacro ribadisce il concetto e l’inca chiude la cerimonia con un’invocazione ad Apu  e Dio sole perché regni pace ed abbondanza sul Tawantisuyo. 

Il sole è basso sull’orizzonte, le comparse, che hanno creato la coreografia spettacolare del Sachsayhuaman iniziano a correre e a ballare lungo tutto il perimetro.

Sfilano i soldati e le ancelle ed anche i portatori di mummie. Nuovamente sulle loro portantine Inca e Qoya passano a salutare il pubblico mentre le ancelle li ricoprono di petali gialli, molte comparse suonano il puputi. 

Nell’era del selfie and share il pubblico è incontenibile. I devices che fino a adesso hanno immortalato lo show vengono passati in funzione selfie per immortalarsi con esso, poi la gente comincia a seguire il corteo e naturalmente a mettersi in posa ……

Un finale che forse al professor Chacon non sarà piaciuto ma è un modo di apprezzare una storia di un tempo che fu, ancora vivo nell’identità culturale andina. 
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Inti Raymi. Terzo atto. Sito archeologico del Sachsayuaman. Alla fine dello spettacolo inizia la parte moderna, ritrarsi o autoritari con gli Incas.

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