"Nessuno nasce IMPARATO
anzi...
TUTTI STIAMO IMPARANDO"
"Nessuno nasce IMPARATO
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TUTTI STIAMO IMPARANDO"
Un fotografo giramondo residente in Toscana
Un fotografo giramondo residente in Toscana
Cuzco è la città coloniale più bella del Sudamerica. Un ben conservato centro storico esteso e cosparso di chiese, storicamente importante poiché capitale dell’impero Inca. Adesso uno dei luoghi più visitati data la vicinanza con Macchu Picchu. Per le sue strade si continua a percepire una forte identità culturale andina.
Cuzco ha turisti tutto l’anno, il turismo è la percentuale più alta nel p.i.l regionale. Potrebbe esser paragonata a Venezia. La differenza sta nell’identità culturale. A Cuzco è presente una forte identita culturale andina, a Venezia l’identità s’è persa nel fiume della globalizzazione.
Spuntati quasi dal nulla gli Inca crearono un impero esteso su tutto il nord ovest del continente, era una società avanzata: l’efficiente sistema stradale (Qapac-ñan) che la univa, la canalizzazione delle acque, i famosi muri di pietra tutt’ora fondamenta del centro storico cusqueño.
Poi arrivarono gli spagnoli, più perfidi e tecnologicamente avanzati nonché indebitati con le banche inglesi. Videro nell’oro Inca una manna dal cielo. Se ne appropriarono sopraffacendo gli Inca,
La corona spagnola dominò per duecentosettantasette anni lasciando traccia indelebile. Molti andini sono nostalgici dell’epoca Inca, ma inidetro non si torna. Nel ventunesimo secolo l’identità culturale andina è composta da una ancestrale radice autoctona con innestato un ramo europeo.
i rituali precolombiani sono ancora praticati e attraggono turisti piu o meno mistici, lo sciamano continua ad essere il tramite verso l’immateriale….. Tutti però sono cattolici, la religione dei colonizzatori.
Il centro di Cuzco è costellato di chiese coloniali, erano l’affermazione di potere.
Ogni chiesa è dedicata a un santo, raffigurato con statua lignea, ognuna ha la sua confraternita incaricata dei cerimoniali.
Gia dall’antivigilia le piazze limitrofe alla “Mayor ” sono occupate di stand gastronomici. Il piatto della festa è il chiriuchu, : diverse carni fredde su cui domina il “cuy“. Il pubblico è per due terzi locale e per l’altro internazionale. Se ne dedurrebbe indice di festa popolare, noni evento “acchiappaturisti”.
La processione andina non è mai triste o sobria. La banda suona motivi allegri, dagli huaynos ai temi internazionali e gli orchestrali vestono uniformi vivaci, da festa danzante. Alcuni membri delle confraternite portano a spalla il pesante santo mentre altri ci ballano davanti. Alcune confraternite si presentano con ponchos e chullos tradizionali invece altre addirittura sfilano in giacca e cravatta.
Le statue si fermano ai bordi della piazza San Francisco, in pompa magna entreranno nella Mayor. seguiti dal frastuono della banda che si mescola a quello delle altre creando un sound andino “free” che si spande per la città.
Ogni santo fa almeno un giro completo della piazza, i figuranti danzano, duellano, fanno giochi di frusta.
In carne ed ossa oppure in legno e vernice i santi in chiesa hanno dormito poche ore. La mattina dopo son già tutti sul sagrato, esposti con nel mezzo un baldacchino d’argento massiccio.
La processione ufficiale, aperta dall’ara che racchiude il Corpus Domini, il corteo di preti biancovestiti che la precede , la pesante aspersione d’incenso, le confraternite femminili col velo bianco in testa. L’affermazione del “potere temporale” della Chiesa sul territorio.
Altri due giorni saranno dedicati al Corpus Domini, con la cattedrale, (normalmente blindata alle visite individuali), aperta al pubblico. Tutti ad ammirare i santi, “stranamente” in legno. Ogni confraternita, si ricaricherà il suo e ricomincerà col giro della piazza.
Il giorno successivo ogni santo tornerà alla propria parrocchia, nuovamente sedici cortei ma stavolta divergenti. Un giorno interno fra balli tradizionali, soste dentro e fuori varie chiese, minestre consumate in piedi, ingorghi di cortei, huaynos etc…
Nei giorni successivi al Corpus Domini le strade adiacenti sono piene di gente in costumi tradizionali. E’ la società civile che nella sua totalità sfilerà sul tema all’identità culturale andina. Scuole, università, corporazioni. Ogni istituzione ha il suo corpo di ballo, ha investito sui costumi, ha studiato una danza tradizionale regionale.
Non c’è solo la piazza. In una elementare, solo per gli alunni, si celebra il festival del “chullo. Tutti porteranno per l’intera giornata il tipico copricapo confezionato nei vari stili regionali. In un’altra scuola arrivano i personaggi incaici a far visita In una materna c’è la gastronomia andina.
Con lo scorrere dei giorni, mentre la fontana centrale di Plaza Mayor, sulla quale nel 2012 s’è reinstallato l’Inca Manco Qapaq, viene rivestita con una murata incaica posticcia, le notti di piazza si riempiono di musica e c’è anche una serata light and sound.
Una fonte autorevole sostiene che Natale e San Giovanni siano antichissime feste del sole su cui la religione Cristiana si sia innestata. Infatti hanno date vicine ai solstizi.
E’ l’unica, inoltre, ad avere un biglietto d’ingresso.
La festa fu proibita dai conquistadores, rimase sepolta fra le cronache antiche finché alcuni intellettuali cusqueñi, appartenenti al movimento indigenista la riscoprirono. Il primo Inti Raymi moderno è del 1944.
Oggi fra comparse, attori e tecnici è uno show che mobilita 600 persone.
Iniziano a diffondersi nell’aria suoni di tamburo e di flauti, arrivano correndo ancelle e soldati. Guerrieri e damigelle si dispongono in file incrociate sul grande prato del Qoricancha, occupano gli spalti dell’antico tempio creando una scenografia accattivante.
Tutto lo spettacolo è in Quechua, un libretto traduce che l’Inca parla all’Inti, chiamandolo padre nostro, poi si rivolge al popolo invitandolo a seguirlo nel proseguimento celebrativo nell’area che si chiamava Haukaypata e da cui partivano i Suyos, l’attuale Plaza Mayor. E’ dai Suyos che sono arrivati in visita i vari dignitari e responsabili politici ognuno col suo esercito e il suo seguito.
Arrivano di nuovo le comparse, suonando e correndo, il tamburo è martellante, si crea un’altra coreografia che riempie la piazza.
L’inca è in piedi su una portantina trasportata da venti soldati, sale poi sul monumento dedicato a Manco Qapaq e comincia una gran conversazione coi dignitari dei Suyos. Segue la lettura delle foglie di coca per conoscere l’umore degli dei, infine a voce tuonante si rivolge agli Apu. Chiama a raccolta le montagne circostanti, chiede loro di accettare l’offerta perché attraverso le foglie di coca rivelino l’ attuale umore del Dio Sole. Prima che la cerimonia centrale al Sachsahuaman abbia inizio.
“tu che guidi oggi la mia città, hai davanti a te il figlio del sole e padre di tutto questo popolo, ricevi questa eredità culturale dove sono contenuti i tre poteri che danno vita alla nostra gente : amore, saggezza e lavoro.
Tutti si avviano verso le alture del Sachsayhuaman.
Altra domanda che sorge spontanea è quanto lo spettacolo sia fedele all’antica realtà.
Il professor Jaime Araujo Chacon, studioso di cultura Inca, oltre a recitare nello spettacolo ne è co-sceneggiatore.
Sembra una riunione di eserciti ma era un incontro per esaminare i prodotti dei Suyos. Mancano bambini e anziani. Gli anziani nel mondo inca erano importanti poiché consiglieri dei potenti” conclude.
Sulla grande spianata del Sachsayhuaman, sito di importanza militare e religiosa, mentre il Dio Sole sta abbassandosi sull’orizzonte e il sempiterno cielo blu dell’inverno andino fa da contrasto con la calda luce sulle mura antiche e sui costumi degli attori, alcune comparse riproducono scene di vita quotidiana.
I cortei arrivano nuovamente in gran pompa preceduti da fumogeni colorati, versione moderna degli incensi cerimoniali . L’Inca riceve i rappresentanti dei Suyos, insieme inscenano il sacrificio di un lama le cui interiora risultate integre sono di buon auspicio per la prosperità dell’impero. Un fuoco sacro ribadisce il concetto e l’inca chiude la cerimonia con un’invocazione ad Apu e Dio sole perché regni pace ed abbondanza sul Tawantisuyo.
Sfilano i soldati e le ancelle ed anche i portatori di mummie. Nuovamente sulle loro portantine Inca e Qoya passano a salutare il pubblico mentre le ancelle li ricoprono di petali gialli, molte comparse suonano il puputi.
Nell’era del selfie and share il pubblico è incontenibile. I devices che fino a adesso hanno immortalato lo show vengono passati in funzione selfie per immortalarsi con esso, poi la gente comincia a seguire il corteo e naturalmente a mettersi in posa ……