La Cholita votante.

Elezioni per l’Assemblea Costituente in Bolivia. Grandangolo e senso della composizione

L’uso di uno zoom grandangolo e un senso della composizione fotografica uniti al farsi accettare hanno contribuito egregiamente a “cogliere l’attimo” .

Il mio primo viaggio in Bolivia fu estremamente ricco di spunti per gli storytelling programmati e per altro che aggiunsi.

L’avevo già con molto piacere recepito, il fatto che in Sudamerica la gente fosse molto meno problematica che in Italia. Non immaginavo che lo fosse cosi tanto meno. 

Da fotogiornalista non mi sono mai avvicinato ad un seggio elettorale italiano. Son sicuro che, almeno di non essere della cronaca e quindi un volto conosciuto alla p.s , verrei bloccato. Oppure abbisognerei di una autorizzazione precedentemente da parte dell’autorità competente.

Ero in Bolivia per uno storytelling sui cocaleros ed uno sulla zona dove si svolse la guerriglia “del Che Guevara”. Nello stesso tempo stavo facendo un fotoreportage che chiamai “Bolivia Hoy” (Bolivia Oggi) e che contrariamente agli altri due mai vide la pubblicazione

Cercavo di illustrare il cambiamento in corso, ebbi l’opportunità di fotografare la giornata elettorale per l’Assemblea Costituente. 

Quella domenica ero a Chulumani, nella guest house di Xavier Sarabia e in pausa per il fotoreportage sui cocaleros.

Non mi aspettavo di entrare in una sede elettorale con tanta facilità. Non ricordo se ci fossero militari, mi bastò spiegare che lavoro stavo facendo che mi si aprì ogni porta.

Il fotoreporter deve sapersi far accettare. Io avevo già evoluto un mio metodo fatto di naturale socievolezza e parlantina sciolta.

Conoscere le lingue è una marcia in più, ma ci sono popolazioni più ritrose di altre. In India c’è addirittura invadenza, in Senegal o nelle comunità mennonite tradizionali la gente si tappa il viso. Sulle Ande si vince rapidamente la ritrosia iniziale, specie se non si è timidi e ci si spiega. 

Al fotogiornalista capita spesso di trovarsi a fotografare un qualcosa per la prima volta. Oppure di confrontarsi con qualcosa di conosciuto che però ha dinamiche totalmente diverse.

anni dopo in Amazzonia mi ritrovai con l’agenda della giornata totalmente stravolta perché un matrimonio dove aspettavo gli sposi fuori la chiesa mi durò un’ora più del previsto. Se da noi le foto coi parenti si fanno al ristorante li, e lo scoprii allora, la tradizione è farle all’altare col prete.

In quella sede elettorale sapevo che avrei dovuto trovare qualche immagine emblematica. Una semplice foto di campesinos in fila indiana con in mano la scheda elettorale non mi sarebbe bastata. 

Mi aggiravo, chiacchieravo con le persone, scattavo.

Avevo bisogno che la foto dicesse “Bolivia hoy” ed una delle immagini di riferimento della Bolivia è la “cholita”

La donna andina prevalentemente di etnia Aymara, caratterizzata da scialle, bombetta e gonna lunga. Ce n’erano abbastanza e mi focalizzai su di loro.

La donna andina è forte e a suo modo speciale. Negli anni poi le Cholitas son diventate famose per la moda locale e addirittura per il wrestling. In altre comunidades andine per il calcio femminile. Malgrado la società latinoamericana in generale si maschilista la donna andina, la cholita

Non è assolutamente remissiva né schiava del marito, si da alle attività sindacali, fa politica, sostiene una qualsiasi conversazione se, cosa mediamente diffusa, parla spagnolo.

Non è detto infatti che il suo bilinguismo, lingua nativa e lingua dei coloni, sia parziale, capisce lo spagnolo ma non lo parla. Antropologicamente lei si occupa della casa e lo sposo  delle relazioni esterne. 

Di quella mattina fra i votanti non ricordo particolari problemi di conversazione. 

Mi resi conto che come il presidente di seggio in Italia deve dichiarare ad alta e chiara voce i movimenti del votante, il suo omologo boliviano mostrava a tutti che stava consegnando ad ogni votante una scheda priva di segni. Era un bel foglio A 3 con tante caselle. 

C’era da includerlo in una fotografia insieme ad una cholita, tra l’altro al muro c’era un pannello di istruzioni con su scritto “como votar”. Guardava tutti mentre dichiarava ad alta voce che la scheda era intonsa. 

C’era abbastanza luce per una buona diaframmazione. Mi bastò aspettare il gesto del mostrare per coglier l’attimo in cui quel tipo guardava verso la gente e parlava ad alta voce.

Decisi di scattare da dietro una cholita, inequivocabilmente tale per bombetta, trecce e sacco colorato in spalla. 

Senza un grandangolo ( un 12-24 Nikkor ) lo scatto sarebbe stato impossibile.

Certo, fare composizione fotografica col grandangolo è sempre ardimentoso. A sinistra della cholita e in basso a destra c’è un po’ di confusione, ma la si nota dopo.
Gli elementi principali saltan subito all’occhio, la donna in primo piano e il “presidente di seggio” riempiono il fotogramma che diventa l’immagine simbolo quel momento storico.
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